La lezione di questo virus?

La lezione della maggior parte delle pandemie è che non lasciano nessuna lezione. L’influenza del 1918 probabilmente uccise più persone della prima guerra mondiale, più di 50 milioni di vittime, ma  viene trattata come una nota a margine del conflitto.

Le epidemie vanno e vengono, lo fanno da secoli, e possono sembrare troppo imprevedibili per essere interpretate. Quando arrivò la peste bubbonica, i nostri antenati la interpretarono come una punizione divina per i peccati degli uomini. A contraddire questa teoria, la peste uccise anche molti preti.

Le epidemie possono cambiarci in due modi.

Primo, possono farci riflettere. Come sa bene chiunque abbia avuto anche un semplice raffreddore, la malattia favorisce l’introspezione. Virginia Woolf sosteneva che la malattia “ci spinge a essere sinceri come i bambini…si dicono cose, si rivelano verità che la cauta rispettabilità della salute nasconde”.

Il secondo cambiamento è strutturale. La peste bubbonica accelerò la disgregazione del feudalesimo britannico: morirono così tanti contadini che i proprietari terrieri persero il potere su di loro. La prima guerra mondiale accelerò la nascita del lavoro femminile: dopo che le donne avevano sostituito gli uomini nelle fabbriche, ormai il dado era tratto.

Sconvolgendo le nostre vite e provocando dolorose tragedie, il virus potrebbe cominciare a farci accettare l’imprevedibilità, a cambiare alcune nostre abitudini, a introdurre il tema della collettività.

Sappiamo del pericolo costituito dalla resistenza agli antibiotici, del conflitto tra Stati Uniti e Cina, e del collasso degli ecosistemi. Eppure queste minacce ci sembrano lontane. In occidente c’è una tale abbondanza che ci imponiamo dei limiti da soli: inventiamo il mese di gennaio senza alcool o dolciumi per riprenderci dalle feste natalizie, e così via.

Accettiamo queste limitazioni perchè ce le siamo imposte da soli e pensiamo che siano un bene per noi.

Il passo successivo per ognuno di noi potrebbe essere accettare le limitazioni imposte dalla collettività e utili per la collettività.

L’esperienza personale delle avversità sembra fare la differenza nell’accettazione di queste limitazioni e nei cambiamenti delle abitudini di vita che queste producono: i ricercatori hanno scoperto che è più probabile che le persone colpite dalle alluvioni siano preoccupate per il cambiamento climatico e scelgano di ridurre il proprio consumo di energia.

Se adesso possiamo accettare i voli cancellati, le scuole chiuse, gli eventi sportivi annullati, forse in futuro potremmo accettare anche altre limitazioni. Se oggi possiamo contare sulla collaborazione internazionale, forse in futuro potremo appellarci allo stesso spirito.

Se però neanche il Covid 19 riesce a farci fare questi cambiamenti…..

(liberamente tratto da un articolo del Financial Times)